Produzione in giudizio di documenti aziendali da parte del lavoratore contro il datore di lavoro – Sentenza n. 3 del 23/12/2017 – Tribunale di Urbino

Nelle cause promosse dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro è frequente l’utilizzo, da parte del dipendente, di documenti aziendali al fine di provare le proprie ragioni.

Da tempo, ci si è chiesti se tale comportamento non violasse l’obbligo di fedeltà previsto dall’art.2015 c.c. . Tale norma, infatti, prevede che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

È pacifico che l’obbligo di fedeltà impone al lavoratore un generale dovere di riservatezza, impedendo la diffusione di notizie aziendali (ivi compresi documenti aziendali) al fine di garantire il vincolo fiduciario sul quale si basa il rapporto di lavoro, non potendo tale fiducia permanere ove il lavoratore, in costanza di rapporto, si comportasse in modo da danneggiare la stessa azienda per la quale lavora.

La giurisprudenza più risalente (ex multis : Cass. n. 2560/1993) riteneva che la sottrazione e la relativa produzione in giudizio da parte del lavoratore di documenti aziendali, ledendo il legame fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro, giustificasse l’applicazione, da parte del datore di lavoro, di una sanzione disciplinare (fino ad arrivare al licenziamento). Si considerava, infatti, che la condotta potesse essere idonea ad integrare perfino gli estremi di reato e, in particolare, di furto in caso di sottrazione di documenti originali, e di appropriazione indebita in caso di sottrazione mediante copie o fotocopie dei documenti.

Detta impostazione, tuttavia, non valutava la posizione di inferiorità del lavoratore rispetto al datore di lavoro in sede di giudizio. Il lavoratore che promuove la causa, infatti, ha l’onere di provare i fatti a fondamento della sua domanda. In caso, ad esempio di demansionamento o di rivendicazione di qualifica superiore, raramente tale onere può essere adempiuto con la sola prova testimoniale. Invero, nella maggior parte dei casi, i testimoni da citare sono altri dipendenti i quali, per timore di ripercussioni sul proprio rapporto di lavoro, difficilmente forniranno una versione dei fatti sfavorevole al datore di lavoro. Se, inoltre, è vero che il lavoratore può richiedere al giudice, ai sensi dell’art.210 c.p.c., di ordinare al datore l’esibizione dei documenti, è sempre presente il rischio che i documenti medesimi, in possesso dell’azienda, siano in qualche modo alterati a danno del lavoratore prima dell’esibizione in giudizio.

Per questi motivi l’orientamento della giurisprudenza da qualche anno è cambiato (ex multis : Cass. civ., sez. lav., 4 dicembre 2014, n. 25682). La Suprema Corte ha infatti sancito che la produzione in giudizio non equivale ad una vera e propria diffusione di notizie, in quanto i documenti non vengono divulgati a terzi, restando il loro utilizzo circoscritto ad un procedimento giurisdizionale, e che, inoltre, il diritto alla riservatezza del datore di lavoro va controbilanciato con l’inviolabile diritto di difesa del lavoratore.

È bene tuttavia, precisare che, per potere essere considerata lecita, la produzione di documenti aziendali da parte del lavoratore deve aver ad oggetto materiale cui il dipendente aveva accesso nello svolgimento delle sue mansioni. Infine, l’utilizzo della documentazione deve essere esclusivamente limitato all’esibizione nella controversia di lavoro e non avere altre finalità.

Dello stesso avviso è stato anche il Tribunale di Urbino che, più recentemente, con la sentenza n.3/2017 si è pronunciato a favore di un lavoratore difeso dallo Studio Legale Roccisano. In particolare, in merito alla produzione documentale del dipendente il Giudice di Urbino ha evidenziato che: “Quanto al fatto che “omissis” abbia prodotto in giudizio alcune copie di documenti relativi a messaggi di posta elettronica scambiati con clienti dell’albergo in qualità di addetto alla reception e unico portiere dello stesso e copie di alcune fatture da lui stesso compilate, sempre nella suddetta qualità, a prescindere dalla liceità o meno della condotta (che peraltro appare strumentale al legittimo e completo esercizio del diritto di difesa, come ritenuto da alcune pronunce giurisprudenziali), vi è da dire che la condotta del ricorrente non ha cagionato alcun danno alle parti convenute, o almeno di tale danno non è stata offerta la prova.”

Al lavoratore che intenda utilizzare materiale di provenienza aziendale per provare la fondatezza delle sue ragioni si raccomanda, in ogni caso, di rivolgersi ad un legale che saprà consigliarlo sulla corretta modalità da adottare onde non incorrere in conseguenze pregiudizievoli.

Avv. Mara Roccisano

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